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venerdì, 26 Aprile 2024

Ugo Tesini, atleta azzurro quadernese di gran…peso

Il padre dei nostri osservatori Mario e Michele è stato molto apprezzato dall'oro olimpionico costermanese Adolfo Consolini

Lo sport è nel loro DNA: il primo a trasmetterlo a Mario (1976), la scorsa stagione osservatore a tempo pieno della Fiorentina (da poco passato al Bologna), ieri diesse dell’A.C. Sambonifacese di C2 e scopritore di Jorginho, e a Michele (classe 1979), ora scout delle Dolomiti Bellunesi di serie D, è stato il padre Ugo, classe 1938. Prima di diventare un asso nel lancio del peso, il genitore – nativo di Quaderni – si era cimentato con quella disciplina agonistica che nel Villafranchese e nel Valpolicellese ha dato tanti scudetti allo sport veronese. “Mio papà” racconta Michele “alla pari di tanti suoi giovani coetanei di Quaderni, aveva anche militato nella formazione CSI del calcio, visto che a quei tempi non esistevano ancora gli attuali impianti sportivi nella frazione della Postumia. Poi, ha partecipato conseguendo brillanti risultati ai giochi Studenteschi, opportunità che gli aveva fatto capire che la sua vera mission, la sua vera specialità non era il calcio né il tamburello, bensì l’atletica pesante e il lancio della sfera di ferro di 16 libbre, i nostri 7,260 kg. Ecco, dunque, la scelta a 17 anni di “arruolarsi” nel Clan Atletico Veronese. Tra i suoi primi successi, quello ottenuto a Como in occasione di un meeting nazionale organizzato dalla “Gazzetta dello sport”, per vivere un susseguirsi di miglioramenti fino a portarlo al suo record personale di 16.02″.

Nel 1963, l’atleta quadernese diventa colonna portante della Pro Patria San Pellegrino di Milano, dove arriva con un altro veronese – originario però di Montebello Vicentino, 1940 – il discobolo Gaetano Dalla Pria. Da buon professionista, si allena ogni giorno per 10 ore, e dunque non riesce contemporaneamente a fare un altro lavoro. Ma, questo non basta a far capire alla Fidal che la promessa merita qualcosa di più di quel semplice, riduttivo rimborso-spese che percepisce. Questa sua condizione di professionista non riconosciuto lo penalizza, imponendogli lo stop di 6 mesi poco prima che potesse partecipare all’importantissimo Italia-Polonia e Italia-Svezia: nasce un caso nazionale, una sorta di caso-Bosman, quello che interesserà più tardi, negli anni 90, il mondo del calcio. “Intanto, il treno dei due incontri azzurri vengono perduti e mio padre ha sempre vissuto con il rammarico di non avervi potuto prender parte. Mio padre, sia per intensità di allenamenti sia perchè apparteneva alla società Pro Patria San Pellegrino Milano era, a tutti gli effetti, un vero professionista, che avrebbe dovuto beneficiare non di semplici rimborsi-spese, ma di un vero contratto da professionista. Nel caso suo, non si poteva più parlare dei dilettantismo e lui avrebbe avuto tutte le ragioni per non essere considerato dilettante e di meritare di più, una retribuzione da vero professionista, da vero atleta azzurro”.

Il caso, poi, si risolse, ma Ugo continuò sempre ad allenarsi con la stessa intensità e con lo stesso zelo: “La mentalità che allora albergava a Quaderni lo infastidiva perchè qualche signora lo prendeva in giro rimproverandogli di cercarsi un lavoro con cui campare o mettere su famiglia”. Lo stop imposto dalla Fidal privò il pesista quadernese della partecipazione alle Olimpiadi di Tokio del 1964: “Nel 1963, papà aveva partecipato ai Giochi del Mediterraneo assieme ai grandi calibri della sua specialità, ovvero Mario Monti – faentino nato nel 1937 e 17 volte maglia azzurra; anche lottatore – e il fiorentino 47 volte azzurro, la leggenda dell’Assi Giglio Firenze Silvano Meconi, classe 1931. L’ultima presenza in azzurro di papà risale al 1967, dopo che a partire dal 1964 una strana forma di nefrite – causa della sua prematura morte nel 2005, a non ancora 67 anni – lo condiziona parecchio in fase di allenamento e di preparazione. Ma, lui, alla pari dei veri giganti, barcolla, ma non molla, e rientra nel 1965, partecipando successivamente – Il 20 agosto 1967 – a Viareggio alla prima storica sfida tra Italia e Usa, sfidando i colossi dell’epoca Steinhauer e Matson. Papà ha vissuto col rimpianto di non essere potuto essere tra gli azzurri a Tokio in quanto ogni gara lo vedeva migliorare sensibilmente nel getto del peso”.

Un episodio lega i ricordi tra il pesista quadernese e l’oro olimpionico (Londra, 1948), il famoso discobolo Adolfo Consolini (Costermano v.se 1917, Milano 1969), di Costermano del Garda, per 17 anni detentore del primato italiano e 3 volte primatista mondiale : “Il leggendario discobolo gareggiava per la SAL Lugano e a fine carriera si era dato anche lui al lancio del peso, in quanto i regolamenti italiani non consentivano più a un atleta che avesse superato il limite di età di cimentarsi con il getto del peso. Nel 1965, a Lugano, si svolge l’incontro internazionale tra la SAL Lugano e l’US Pro Patria San Pellegrino Milano. Mio padre si classificò al primo posto, ma fu favorito dall’errore di un giudice che gli attribuì il raggiungimento di mezzo metro in più del lancio. Ebbene, Consolini non fece reclamo, con grande sportività si fece incontro a mio padre e gli confidò: “Non contesto il verdetto perché sei veronese come me!” E, mio padre mi confidava che al solo cospetto di Consolini gli veniva la pelle d’oca perché gli sembrava di avere di fronte il “Maradona del disco””. Sempre il figlio Michele: “Quando incontro un grande dirigente del tamburello, lui mi ricorda che Quaderni gli fa venire alla mente Ugo Tesini, Rodolfo Falzoni, grande campione di ciclismo (ha vinto anche una tappa del giro d’Italia), la pluri-scudettata (una mezza dozzina di titoli tricolori conquistati tra gli anni 60 e 70)  gloriosa squadra di Tamburello della Belladelli Quaderni.

Ugo Tesini, non fosse stato per lo stop di 6 mesi imposto dalla Fidal e successivamente per quella rara forma di nefrite con cui ha dovuto combattere e il cui acutizzarsi gli provocherà la scomparsa, avrebbe totalizzato molte più delle sole 4 presenze in azzurro: “Oltre alle Olimpiadi di Tokio, perse la partecipazione alle sfide tra Polonia e l’Italia e tra Italia e Svezia. Nel 1967 gli fu conferito il premio alla carriera, altro suo fiore all’occhiello. Depositato il peso, il pesista italiano si dedicò alla famiglia, alla moglie Marielide, ai suoi due figli Mario e Michele, alla campagna che aveva ereditato dal padre. La sua esistenza si è conclusa il 2 gennaio (data che vide spegnersi prima di lui il grandissimo asso del nostro ciclismo Fausto Coppi) del 2005. “Papà” conclude Michele “sosteneva che nell’atletica uno fa parlare il proprio corpo, è vera meritocrazia il successo, vittoria cioè riconducibile, attribuibile al singolo atleta, non condivisibile con il gruppo. Per te, nel lancio del peso, parlano la misura e il tempo”.

Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it

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