Ha mai giocato a calcio, da ragazzo? E in che ruolo?
<<Sì, da ragazzino, quando ancora si giocava in strada e non esistevano le porte. Giocavo mezza punta, mezz’ala, ma non ero certo un fulmine di guerra, mi adattavo e facevo la mia modesta parte. Ho militato nella squadra del Liceo Scientifico contro altre compagini liceali: ricordo che molto più forti di noi erano quelli dell’Istituto “Lorgna”, atleti molto bravi, che ci battevano sempre. Tra questi, il futuro libero della Nazionale azzurra, Pierluigi Cera, veronesissimo, vice-campione ai Mondiali di Messico ’70 e campione europeo a Roma nel 1968>>.
Tifa per qualche club?
<<Mi è dispiaciuto quest’anno vedere scendere in serie B il Chievo: mi sarebbe piaciuto assistere al derby tra due società in A della stessa città (evento, se non ricordo male, avvenuto una sola volta in riva all’Adige)>>.
Ha ricevuto i complimenti da uno dei più grandi calciatori che la storia del pallone conosce: Edson Arantes do Nascimento, ovvero Pelè… <<Per quelli della mia generazione, credo che Pelè abbia rappresentato sicuramente il maggior esponente di questa disciplina. Tenevo una mia mostra in Brasile – con tappe a Rio de Janeiro e a San Paolo – e lui venne a visitarla, donandomi un libro biografico con tanto di dedica, questa: “A Manara, dal suo amigo Pelè”. Mi ha davvero stupito! Ma, anche dal grande maestro del cinema, Federico Fellini: ho goduto della sua stima, e una volta mi telefonò ringraziandomi e invitandomi a raggiungerlo a Cinecittà. Per il grande maestro riminese ho composto i manifesti dei suoi ultimi film, ho disegnato la sceneggiatura di “Viaggio a Tulum” (viaggio in Messico, sulle orme già segnate da Carlos Castaneda, alla ricerca degli scenari, delle magie, degli stregoni, dei buncos del Paese del Sudamerica) e quella de “Il viaggio di G. Mastrotta, detto Fernet”, un viaggio immaginario di un commesso viaggiatore, che invece di fare ritorno a casa, giunge in un luogo del tutto inaspettato>>.
Quale asso del calcio le piacerebbe disegnare?
<<Pelé, perché rappresenta il movimento, la completezza tecnica, il dinamismo, gran colpitore di testa e piedi fatati. Un altro grande del calcio che raffigurerei è Joahn Cruijff, perché era uomo-squadra, perché grazie proprio al suo talento ha inventato il calcio totale, tattica secondo la quale tutti i giocatori erano intercambiabili. Metto Cruijff davanti a CR7 e a Messi>>.
E degli italiani?
<<Gigi Riva, alla pari di Pelé, dietro c’è tutta una storia, non solo bravi a giocare ma anche come uomini. Sono dei miti, di tutt’altro livello rispetto a Maradona, definito da tutti il migliore in assoluto. Riva lo disegnerei come un antico eroe romano, per via del suo fisico statuario, con quella testa ben fatta e i capelli che gli ornano il volto; si muoveva poco, ma aveva un sinistro che spaccava palloni e reti. E gran colpitore di testa, ripeto>>.
Di recente, ha ricreato, aggiornato il logo del GSD Ambrosiana, club veronese della Valpolicella, ora in serie D… <<Negli anni Ottanta, avevo disegnato un manifesto con un calciatore dell’Ambrosiana in movimento, mentre scocca il tiro. Da parte dell’attuale dirigenza – guidata da Gianluigi Pietropoli – mi è stato chiesto di rifare il logo, che prima raffigurava il diavoletto ripreso di profilo. Ebbene, io l’ho rifatto, di fronte, quindi, un po’ aggressivo e coraggioso, anche perché l’Ambrosiana, militando in una categoria considerevole come è la Serie D, ovvero l’anticamera del professionismo, e, misurandosi, da tre stagioni a questa parte, contro autentiche corazzate di Veneto e Trentino, ma anche dell’opulento hinterland milanese, non venisse – il logo ambrogino – frainteso, confuso con quello del più famoso Milan. Che gli assomiglia molto, ma, ora di meno>>.
Come raffigurerebbe, invece, l’Aldilà?
<<Non sono un credente, ma per dipingere l’Aldilà ci sono tante immagini ed esempi nella pittura, nella storia dell’arte: sono stati in molti e prestigiosi ad aver dipinto la Divina Commedia o i suoi temi, a partire da quella raffigurata da Gustavo Dorè, per passare a Sandro Botticelli a Salvador Dalì a Michelangelo Buonarroti (vedi Cappella Sistina), da Giotto di Bondone nella “Cappella degli Scrovegni” a Padova, a Tintoretto nel Palazzo Ducale a Venezia. Da non credente, mi fosse commissionato questo tema, bè, non nascondo che farei fatica: lo rappresenterei come uno spazio siderale intergalattico, visto che abbiamo un conto in sospeso con l’universo>>.
Cos’è che la commuove maggiormente?
<<Sono affetto dalla “sindrome di Stendhal”: davanti a certi paesaggi – in primis, le mie Dolomiti – mi faccio prendere dalla cosiddetta anche “sindrome di Firenze” (che scocca per chi visita il Palazzo Pitti fiorentino). Adesso che mi fa riflettere più a fondo, direi gli atti di coraggio commessi da uomo o bambino senza molto margine di successo, difficili da realizzare e con altissimo rischio e costo della propria vita>>.
Quale è stata l’ultima volta che si è profondamente commosso di dolore?
<<Quando è morto Fellini: ero in compagnia di Roberto Benigni, e lui ci è rimasto molto male nel vedermi piangere continuamente, al punto che ha raccontato a un nostro amico in comune che “Milo, al funerale di Fellini, ha pianto come un vitello”>>.
Manara e la musica, sicuramente conosce il grande “genio delle colonne sonore” le più famose, il maestro Ennio Morricone… <<Non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo, ma questo non significa che non lo stimi, tutt’altro! Ho conosciuto famosi cantautori italiani – Lucio Dalla, Rino Gaetano, Francesco De Gregori, Bruno Lauzi, Riccardo Cocciante – anche perché per Dalla e per Cocciante ho disegnato la cover di alcuni loro dischi. Di compositori, ho stretto una bella amicizia con Nicola Piovani, conosciuto sul set di Fellini, e chiamato dallo stesso regista a prendere il posto del famoso Nino Rota>>.
Manara e il teatro… <<Da ragazzo, ai tempi in cui frequentavo il collegio, ho recitato; mi piaceva, ma mi ha conquistato il disegno, ha prevalso la passione per i fumetti. Comunque, ho disegnato scene e costumi per un grande balletto, prodotto dall’opera Roma, in omaggio a Fellini, due anni dopo, nel 1995, la sua scomparsa. Poi, ho creato manifesti per alcuni prestigiosi teatri, il primo che ricordo è il “San Carlo” di Napoli, e sfondi, tavole per il noto compositore Nicola Piovani>>.
Cos’è che le dà maggiormente fastidio?
<<Il male del mondo in cui viviamo è l’idolatria del denaro, l’anteporlo a tutti e a tutto. Poi, la troppa pubblicità televisiva: una volta ne parlai anche con Umberto Eco, lamentandomi che la tivù non fa più cultura, e il filosofo alessandrino mi ha risposto che anche la pubblicità cerca di far cultura, sbagliando completamente in questa sua convinzione completamente fuorviante ed errata>>.
Non avesse fatto quella grande carriera di fumettista, cosa le sarebbe piaciuto fare in alternativa? <<Da giovane suonavo il sassofono, forse, coltivandolo di più, avrei potuto farmi conoscere. Oppure, il navigatore: mi piace fare la vita del marinaio. Una volta sono stato in Argentina, ripercorrendo i viaggi prima esplorati da Hugo Pratt>>.
Rimpianti, rammarichi?
<<Almeno due ne serbo: avevo ricevuto due proposte di collaborazione, la prima dallo scrittore e fumettista francese (classe 1930) Jean-Claude Forest, creatore del fumetto “Barbarella”, ma ho dovuto rinunciare perché ero impegnato in un altro lavoro. Per la stessa ragione, ho dovuto dire di no a Jean Giraud, più noto con gli pseudonimi di Moedius e di Gir, altro storico fumettista transalpino (scomparso nel 2012), uno dei maggiori talenti mondiali, il quale ha influenzato con il suo stile una generazione di artisti del fantastico e della fantascienza>>.
Cos’è per lei la bellezza, come la disegnerebbe?
<<E’ un concetto molto vago, sfuggente. Si tende a dare corpo o in una figura umana (in prevalenza, quella femminile) o in un paesaggio (la visione di un paesaggio, dell’incanto che sprigionano le mie Dolomiti, espresse dal pennello del pittore inglese del 1800, William Turner). Venere incarna il concetto della bellezza. Per me, bellezza è il dono e il capriccio degli dei>>.
Ma, anche lei è stregato, rapito dalla grande bellezza delle sue montagne, da quello che in molti chiamano enrosadira (per cui ogni tramonto ed alba le cime dolomitiche assumono un colore rossastro, che passa gradualmente al viola)… <<Sì, dal loro color rosato che scocca all’alba ed al tramonto. Sono, è vero, un innamorato delle Dolomiti, tant’è che all’interno del “Museo ladino di Vigo di Fassa”, concepito sotto la guida di Ettore Sottsass, ho girato un film di animazione con miei disegni a tema e che raccontano le leggende delle Dolomiti, ispirandomi alle belle pagine scritte dal giornalista, antropologo e scrittore austriaco Karl Felix Wolf, grande esperto del fascino sprigionato dalle Dolomiti. Le Dolomiti bisogna ammirarle, contemplarle mai dall’alto, ma bisogna captare la solennità di visione che si sprigiona dalle guglie dolomitiche, di origini, di creazione non certo umana, guardandole solamente dal basso>>.
E che concetto ha sulla bruttezza, come la rappresenterebbe?
<<E’ un altro concetto astratto, che va rappresentato non in senso morale ma fisico. Non la assocerei alla maniera del Cesare l’Ombroso padre della sua teoria della fisiognomica, non mi ispirerei certo a lui per rappresentare la bruttezza. Io starei vicino all’olandese Hieronymus Bosch, o, come suggerisce lei, alla “Crocifissione di Matthias Grunewald, uno dei pannelli centrali dell’altare di Isenheim conservato nel Musée d’Unterlinden a Colmar, in Francia. E’ una pala che muove alla pietà più che alla bruttezza. E’ sempre un concetto difficile da interpretare: prendi le donne di Ruben, i suoi nudi di femmine colpiti dalla cellulite, fenomeno tipicamente femminile e al contempo seduttivo. Se la bellezza è il capriccio-dono degli antichi dei, la bruttezza è il dispetto delle divinità>>.
E, la morte, come la raffigurerebbe?
<<La morte? E’ assenza di vita, mi viene in mente il romanzo fantasy dello scrittore britannico Terry Pratchett, “Il Cristo mietitore”, il suo romanzo incentrato sulla morte. La più bella metafora sulla fine della vita è quella usata dal grande Totò, “la livella”, la falce che taglia l’erba fresca, giovane e quella vecchia, secca, senza far distingui alcuni. Io la rappresenterei con una landa desolata, in cui non cresce niente. La morte, per me, è l’unico vero atto di democrazia mai esistito della storia dell’uomo>>.
Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it